Sunday, January 30, 2011

Tuesday, August 24, 2010


La Situazione (25 agosto 2010)

Mi viene ancora spesso chiesto com'è la situazione a Bangkok. La situazione a Bangkok è normale, come sempre. Dipende solo dai punti di vista. E da dove ci si trova. Anche nei momenti più drammatici, nel resto della città la vita scorreva in maniera più o meno normale. Suppongo sia così perfino durante le guerre. Dove non c'è battaglia, si vive. Alla fine dei conti, cos'altro si dovrebbe fare?

In sette anni nel Sud Est Asiatico ho visto un po' di tragedie, di varie entità: dallo Tsunami al colpo di stato. L'occupazione del parlamento e dell'aeroporto, le sommosse di Songkran del 2009, quelle del 2010, ed il Maggio di Sangue di quest'anno. Durante ognuno di questi eventi, ciò che vedevo dalla finestra era sempre lo stesso. La vita scorreva, più o meno normale.

Di quest'ultimo episodio - dei due mesi delle Camicie Rosse - avrò molti ricordi, fatti di flash e di contrasti stridenti. Ci saranno delle cose che non dimenticherò.
Una è la sera del 19 maggio. Io in piedi, all'ultimo piano del mio palazzo, al bordo della piscina. Davanti a me un bel tramonto e le colonne di fumo della skyline in fiamme di una Bangkok in lutto. Dalla mia parte, la tranquillità di una zona "safe", dall'altra, il fumo di copertoni bruciati e di edifici messi a fuoco.
Tra me ed essi, gente che combatte per le strade, militari che sparano, cecchini sui grattacieli e sulle rotaie del treno elevato. Alla fine i corpi esanimi saranno 91, ma la gente – locali e stranieri - sembra essere più sconvolta dal fatto che il centro commerciale più grande e nuovo della zona chic di Bangkok sia andato distrutto. Questa sarà un'altra cosa che non dimenticherò: nel 2010 un centro commerciale vale più lacrime di 91 persone.
Il giorno dopo, con il mio amico Nicola, in giro in motorino per le strade assolutamente deserte del centro, vediamo le macerie di una guerriglia consumatasi in mezzo ai palazzi. Posti di blocco ovunque, militari a volte gentili e sorridenti, altre guardinghi e minacciosi. "Trincee" di sacchi di sabbia, copertoni ed auto bruciate, chiazze di sangue e pezzi di vestiti. Scheletri di edifici bruciati.
Per le strade, qualche turista spaesato e molti giornalisti.
Venerdì assistiamo ad un esodo di gente che a piedi va dal centro verso fuori. Anche molti turisti che vorrebbero andare in aeroporto, ma non trovano alcun mezzo di trasporto. Non ci sono neanche più i taxi.
Nel pomeriggio andiamo a mangiare in un "community mall". Lì tutto sembra normale, il business continua, la gente mangia, beve, spende, sorride.

Per giorni, in seguito, le noiose serate col coprifuoco. Ci si trova a casa di un amico, nel mio palazzo, alcuni tornano a casa loro prima delle 8 di sera, altri restano per la notte. Curiosi, andiamo a piedi alla vicina Sukhumvit, arteria principale del centro moderno di Bangkok, di solito incubo di traffico, quel giorno assolutamente vuota. Un taxi sfreccia alla velocità del fulmine, di certo in ritardo, e terrorizzato di poter essere fermato ed interrogato dalla polizia o, ancor peggio, dai soldati.

Ma come si spiega ciò che è avvenuto? Queste camicie rosse sono un movimento di sinistra, come il colore suggerirebbe? Cosa vogliono? E perchè fanno tanta paura al governo ed a certa borghesia medio-alta della capitale?

2001: Thaksin Shinawatra vince le elezioni. è la prima volta che ad un partito (il suo Thai Rak Thai) viene riconosciuto un consenso così ampio.
2005: Il Thai Rak Thai vince con un margine ancora più grande.
2006: un colpo di stato incruento guidato dal generale Sonthi Boonyaratklin ed appoggiato dal Re rovescia il governo e ne instaura uno militare.
2007: le libere elezioni riconfermano la preferenza dei thai per Thaksin - nel frattempo autoesiliatosi per sfuggire ad una sentenza di corruzione - votando per la nuova incarnazione del suo partito, il PPP. Nel giro di poco tempo due primi ministri sono costretti alle dimissioni per reati futili, con una sorta di colpo di stato giuridico.
Tramite un ribaltone "all'italiana" va al governo il Partito Democratico di Abhisit Vejjajiva, ma ciò non può essere gradito all'elettorato dell'ex premier.

Chi ama Thaksin? Principalmente le classi meno abbienti, in maggior parte rurali. Le sue politiche populiste e un po' di welfare lo hanno reso il nuovo eroe della gente semplice, quelli che il Re chiama "la spina dorsale dell'economia", ma che fino ad allora avevano dovuto accontentarsi delle briciole del sistema.
Il rovescio della medaglia è fatto di corruzione e disinteresse nei diritti umani. La Guerra alla Droga del 2003 lascia sulle strade quasi 2500 morti, uccisi per vie extra-giudiziarie, spesso per semplici faide interne alla mafia-polizia. Altre volte per errore, o per delirio di onnipotenza. Al Sud la rivolta indipendentista islamica si radicalizza, e con essa la repressione. I morti si contano a centinaia. Il semi-regime di Thaksin è piuttosto insofferente alle critiche esterne: la censura della stampa aumenta.

Ma non sono certo questi gli elementi che spaventano la ricca borghesia e l'aristocrazia bangkokiane. Thaksin sta sviluppando un nuovo sistema/network di interessi. Pare guardare già oltre alla successione al trono (il Re Bhumiphol Adulyadej ormai è anziano e malato). Alcuni addirittura (farneticando) lo accusano di voler diventare il nuovo sovrano di Thailandia. Si organizzano manifestazioni e sit-in, guidati dagli ex amici e mentori Sondhi Limtongkul e Chamlong Srimuang. Nascono così le Camicie Gialle. Inizialmente un movimento puramente anti-Thaksiniano, democratico e libertario, esse in seguito prenderanno una piega decisamente reazionaria, ultra-nazionalista e ultra-realista.
Vistosi negare il diritto costituzionale di scegliere il governo con il proprio voto, l'elettorato Thaksiniano crea il suo movimento: le Camicie Rosse.

Chi è Thaksin? Davvero lo si può considerare un leader "di sinistra", come spesso la TV vorrebbe farci credere? Non proprio.
Innanzitutto, Thaksin è stato per anni l'uomo più ricco di Thailandia. Personaggio non dissimile dal nostro Berlusconi, egli ha costruito la sua fortuna con lo sviluppo di un impero basato sulle telecomunicazioni e su alcuni canali televisivi (possedeva anche dei satelliti). Uno dei grossi scandali è legato alla vendita della sua compagnia-holding (la Shin Corp) al fondo sovrano singaporeano Temasek. Transazione sulla quale, grazie ad un "buco" della legislazione thai, non sono state pagate tasse. In seguito l'equivalente verrà sequestrato dallo stato thailandese, e la sentenza che porta a ciò sarà uno dei motivi scatenanti della rivolta di quest'anno.
Combattere per Thaksin, secondo il suo elettorato, significa difendere una visione diversa della politica, una divisione più equa della ricchezza, una Thailandia più moderna, democratica e pragmatica, al passo coi tempi.
Per i suoi detrattori invece l'ex PM è un personaggio da disprezzare, un vero traditore della patria e della monarchia, un uomo arrogante, egoista e privo di scrupoli, pronto a mettere qualsiasi interesse dietro a quelli suoi personali.
La realtà, come al solito, sta nel mezzo. Ovvero, entrambi i punti di vista contengono qualcosa di vero, e qualche esagerazione.

Al contrario, il Partito Democratico, ormai vituperato nelle province (con l'eccezione forse del Sud islamico), ma ancora amato a Bangkok e nelle zone più facoltose del regno, gode storicamente di una buona reputazione, ma spesso viene anche visto come partito dell'inattività. Vengono chiamati "gli scarafaggi" perchè riescono sempre a sopravvivere alle vicende politiche e ai “sismi” semiautoritari del paese.
Il fatto che proprio il PD, con la sua reputazione di roccaforte dell'elite Bangkokiana, generalmente piuttosto indifferente alle cause del popolo "piccolo", sia stato messo al governo con un lavoro di squadra di esercito e magistratura, ha causato molta rabbia tra le masse rurali. Guidate dagli scagnozzi di Thaksin, hanno preso la strada della capitale, convinti di riuscire a convincere Abhisit alle dimissioni. La loro protesta è stata quasi sempre pacifica, ma in molte occasioni sono stati infiltrati da elementi ambigui e spesso violenti; le Camicie Nere. Esse vengono viste da alcuni come espressione dell'esercito, veri e propri agenti provocatori, e da altri semplicemente come frangia estremista interna alle Camicie Rosse.

L'indecisione sul tipo di risposta da parte del governo, le proposte di soluzioni/compromessi tutto sommato poco accettabili da entrambe le parti, il continuo scaricabarile tra Ministero dell'Interno ed Esercito hanno contribuito a far durare l'occupazione del centro di Bangkok per ben due mesi. Risultato: per rispondere alle pressanti richieste di un intervento vigoroso da parte di parte della cittadinanza e dei grossi gruppi d'interesse del business, il governo ha scelto in fine la via autoritaria, schierando ingenti truppe e dando loro il permesso di sparare per uccidere. Il resto lo si sa.

Timoroso di qualsiasi forma di elezione diretta, il Partito Democratico, ormai anche costretto a seguire le linee guida delle Camicie Gialle che hanno contribuito a metterlo al potere, ormai ha perso ogni caratteristica "democratica", a scapito del nome. Grazie anche all’istituzione del CRES (Centre for the Resolution of the Emergency Situation, una sorta di mini-junta militare con vasti poteri decisionali), la censura anti-opposizione è stata resa formidabile: sono pochissimi i siti e le pubblicazioni pro-Thaksin a non essere state bloccate. Non solo: anche i forum online ed i siti web genuinamente indipendenti sono spesso oggetto di minacce e di censura da parte di vari ministeri (l'orwelliano Ministero della Cultura, l'ICT, ovvero il ministero delle telecomunicazioni, il Ministero dell'Interno etc.). Ad aggravare la situazione dei diritti di stampa, parola, pensiero ed opinione, vi sono le leggi di lese majestè più rigorose del pianeta. Una sola parola di critica nei confronti del sovrano può costare (ed è costata) condanne fino a 15 anni di galera. Una vera e propria caccia alle streghe, che oltre a generare un perverso sistema di illazioni e delazioni, costringe la stampa mainstream ad una penosa autocensura.
Per mantenere un discreto consenso popolare, vengono periodicamente montati contrasti di confine con la Cambogia (il tempio di Preah Vihear), facendo leva su sentimenti mai del tutto sopiti di nazionalismo vecchio stampo, e di un certo razzismo anti-khmer, da sempre piuttosto diffuso nel regno siamese.

Com'è la situazione a Bangkok? La situazione è normale, come sempre. Dipende solo dai punti di vista. Da dove ci si trova, e soprattutto da quello che si dice e scrive.

Sunday, October 25, 2009


Tuffati nella Crisi (12 Febbraio 2009)

2009: anno di sofferenze. Tutti parlano della crisi. La crisi è iniziata da tempo, e ora ne soffriamo le prime conseguenze. Partita dagli Stati Uniti ed allungatasi fino all'Europa, ora si diffonde velocemente in tutto il mondo, rallentando sensibilmente anche le economie più vivaci. Dei pericoli, molti e grandi, se ne parla ogni giorno in tutte le pubblicazioni cartacee, nei telegiornali, su internet: si va dalle previsioni più apocalittiche alle teorie del complotto (le quali sostengono che in realtà non ci sia alcuna crisi, e che il tutto sia stato architettato ad uso dei soliti potenti). Noi comuni mortali, purtroppo, dobbiamo accontentarci di ciò che vediamo, e non possiamo fidarci delle previsioni dei grandi economisti, che avevano previsto tutto tranne l'attuale crisi. Meglio allora concentrarsi sulle opportunità offerte dalla nuova situazione. Quali sono? Ci sono cose concrete che possono facilitare la vita di un'azienda in crisi? Come è lecito aspettarsi, non ci sono risposte univoche, nè formule magiche, ma ciò che rimane sempre valido è l'applicazione del caro, vecchio buonsenso.
Allora, vediamo cosa propongono gli esperti.
L'Economist, ad esempio, sostiene che nel 2009 ci sarà una netta, drastica inversione di tendenza nell'organizzazione aziendale dei grossi gruppi. Ciò influenzerà di riflesso anche le strutture più piccole. Lucy Kellaway, nell'edizione speciale "The World in 2009", sostiene che il nuovo anno vedrà l'ascesa incontenibile del responsabile finanziario (CFO, o Chief Finance Office) all'interno delle piramidi aziendali, e la relativa caduta in importanza del CEO, del responsabile del marketing e del responsabile dell'HR (human resources, o risorse umane). Tutto vero: il 2009 non sarà l'anno della creatività e della pubblicità, ma piuttosto quello dei tagli al personale e delle decisioni pragmatiche che puntano al supremo risparmio. Questo, almeno, per quanto riguarda le realtà "pesanti", le aziende che non hanno molta snellezza.
Sempre Economist, e sempre restando nell'ambito della riduzione, Lionel Barber prevede il ritorno del banchiere gentleman e la crescita del "boutique banking" (i piccoli istituti bancari che godono di una buona base di capitale). Altre previsioni: la crescita in importanza del microcredito nel Terzo Mondo, l'aumento dei raccolti di cereali, una rinnovata importanza del cibo ed il conseguente ritrovato bilancio tra cibo prodotto e cibo consumato, con anzi una prevalenza del primo fattore, che genererà probabilmente un ritorno a prezzi di mercato popolari.
Al contempo, le multinazionali del settore chimico, continuano la propria aggressiva strategia di conquista per vendere i loro diserbanti chimici, alcuni di essi proibiti in molti paesi occidentali. Ciò sta già generando distorsioni notevoli: il governo del regno di Thailandia sta cercando di promulgare una legge che vedrebbe riclassificati a rango di "prodotti pericolosi a produzione controllata" 13 vegetali usati dai contadini in sostituzione ai più costosi (ed infinitamente più pericolosi ed inquinanti) prodotti chimici. Tra tali sostanze, la citronella, il ginger, il peperoncino. A riprova che l'era informatica produce anche esiti positivi, i poveri contadini thai si sono già organizzati in manifestazioni pacifiche. La legge, se passerà, lo farà solo dopo le dovute concertazioni.
Vediamo invece cosa si prevede riguardo al mercato dei metalli. Con l'occidente in panne e l'oriente in rallentamento, il settore del trasporto e quello edile non potranno che rimanere ai livelli minimi sui queli si sono appena assestati. Con l'eccezione dell' oro, tutti gli altri metalli vedranno cadere ulteriormente i loro prezzi di mercato. Il Sudafrica continuerà a pagare le conseguenze del disastro energetico accaduto nel 2007. Anche le miniere cilene affrontano un simile problema. Il prezzo del ferro scenderà ulteriormente, fino a toccare i 65 $/dry tonne. Alluminio e rame scenderanno rispettivamente del 25% e del 19%. Non è certo il momento migliore per comprare.
Il consiglio, nella maggior parte dei casi, è di non sperimentare, di lasciare la briglia aziendale nelle mani del padrone, che, in stretta collaborazione con l'ufficio finanziario, deciderà quanto personale tenere e dove andare a tagliare i costi. Non a caso, in Italia, le prime aziende a sospendere le attività sono state quelle legate al design di automobili. La creatività è l'ultima delle priorità in questi tempi difficili.
Viene sconsigliata vivamente l'attività del "thinking outside the box" (pensare al di fuori degli schemi), dando precedenza agli schemi operativi consolidati.
Tutti questi elementi hanno di certo un rigoroso senso logico, e potrebbero essere giustificati con quel concetto da me citato all'inizio: il buonsenso. Ne siamo sicuri? Buonsenso significa necessariamente fidarsi dell'ovvio e ricordare i dogmi del passato? Buonsenso dovrebbe anche significare "impariamo dagli errori del passato". In questo caso, ad esempio dovrebbe portarci a pensare con il nostro cervello, piuttosto che dentro o fuori dagli schemi. Quando ci siamo fidati dei ragionamenti altrui, abbiamo spesso dovuto ricrederci, e questa crisi dovrebbe essere il punto alla fine del lungo paragrafo scritto dai grandi economisti. Nell'era di internet non c'è economista che possa predire l'imprevedibile. Non c'è politico che possa dirigere l'indirigibile, non c'è economia che possa proteggere mercati ormai globalmente esplosi e poi implosi. Buonsenso nel 2009 significa coraggio e pragmatismo. Significa pensare con il proprio cervello e dimenticare del tutto la scatola e gli schemi. In un clima economico dove a cadere in maniera rumorosa sono proprio quelle istituzioni che agli occhi di tutti parevano indistruttibili fino solo a pochi mesi prima, ciò che conta è più che mai la creatività e la fantasia. Inoltre, a maggior ragione, dovrebbero essere proprio le aziende medio-piccole che cercano nuovi metodi di resistenza alle pressioni di quelle grandi. Non è tempo di acquisizioni, è tempo di alleanze. Non è tempo di oligopoli, è tempo di filiere e complementarità. è in questi elementi che va cercata l'ottimizzazione dei mezzi. La nuova globalizzazione non ha come protagoniste le multinazionali, ma le zone di produzione, la chiave è la regionalità. Il risparmio è il minor raggio di trasporto, le risorse sono quelle locali, le risorse umane sono quelle disponibili nella zona. E non è affatto vero che l'Occidente deve diventare un mondo del terziario, in quanto è proprio l'Occidente ad aver più che mai bisogno di quelle industrie che ormai abbiamo quasi completamente esportato ad Oriente. Dobbiamo riportarle a casa, perchè è ipocrita lamentarsi dell'assenza di regole in campo ambientale nella Cina rampante, quando potremmo essere noi a produrre con standard ambientali altissimi. Ed è ancora più inutile constatare che Pechino è molto inquinata, quando l'Italia è tra gli ultimi paesi in termini di innovazione energetica e di ricerca nel campo dell'energia verde. Innovazione Energetica, Energia Verde, Economia Sostenibile: questi dovrebbero essere i termini imperativi in tutti i settori dell'industria e del commercio. Senza questi, non c'è nessun progresso. L'Oriente sta attraversando in pochi anni tutto quello che noi abbiamo esperito in 50 anni di travagliata storia politica, sociale ed economica. E' giusto che l'Europa cerchi di moderarne i toni, ma per farlo deve prima trovare una sua dimensione morale, cosa che in questo momento può essere fatta solo tramite l'implementazione rigida di nuovi sistemi ecologici. Non c'è neppure una vera scelta, non ci sono altre opzioni, si tratta solo di arrivarci prima possibile, di farlo in fretta. Arrivando prima si guadagnerà di più. Ecologia non significa più lotta radicale di pochi attivisti, significa risparmio energetico e guadagni sull'innovazione. Significa dare al mercato ciò di cui il mercato ha bisogno. Significa, più che mai, marketing e pubblicità, in alleanza con il mondo dello spettacolo. L'immagine dell'eco-friendly non può e non deve più essere relegata al mondo dell'attivisimo, ma piuttosto a quello della moda, della musica, dello spettacolo. Le persone che non si adattano alla nuova mentalità devono sentirsi antiquate e, per usare un termine al passo coi tempi, "sfigate". Il prodotto ad impatto ambientale minimo deve essere ambito e ricercato, deve essere legato ad un'immagine di design e di esclusività. Solo in questo modo potrà attirare l'attenzione delle masse, e diventare in seguito un prodotto popolare, il nuovo standard. Se è vero che questa crisi è una cospirazione, voglio sperare (e ci sono motivi per pensare che questo sia possibile) che chi l'ha architettata abbia proprio questo in mente: sovvertire il vecchio ordine delle cose per dare al mondo un taglio più ambientalista. Quale migliore occasione!

I punti:

1- Idealizzazione del prodotto ecologico. E' una questione di immagine, l'immagine è l'unico strumento universale per convincere l'acquirente. La qualità viene soltanto seconda. Esempio: la tentata introduzione di vetture elettriche negli Stati Uniti verso la fine degli anni '90 è stata un fallimento, mentre il motore ibrido Toyota è stato un successo. Perchè? L'auto elettrica americana era brutta e veniva proposta come un prodotto economico per il risparmio. Il motore ibrido, in contrasto, venne introdotto subito su un SUV Lexus, creando il paradosso SUV=ecologia. La lexus ibrida, inoltre, è addirittura più veloce ed aggressiva di quelle con il motore tradizionale. La gente ora guarda al motore ibrido come ad uno status symbol. Non appena tale motore sarà disponibile per modelli più accessibili, le vendite saliranno.

2- Responsabilizzazione delle risorse umane. Negli ultimi decenni si è consolidato uno stile lavorativo tutto imperniato sulla figura del manager vincente. Le multinazionali si sono fuse assieme ed hanno creato un vergognoso mercato dei supermanager, signori pagati con stipendi inimmaginabili che potevano permettersi decisioni assurde, senza timore di dover pagare i propri errori. Questo metodo si è dimostrato sbagliato, e infatti la cosa sta già cambiando. Io mi permetto di andare oltre. Secondo me anche il mondo della ricerca e della creatività devono adattarsi al nuovo clima. In uno stato come l'Italia, dove la ricerca è bistrattata, il ricercatore, lo sviluppatore di prodotti, il designer non solo dovranno cooperare con le aziende, ma dovrano farlo in maniera responsabile, rendendosi partner dell'impresa stessa, quando possibile. Questo succederà soprattutto nelle aziende medio-piccole.

3- Nuove realtà salariali. L'Italia è in grave ritardo. Gli stipendi sono tra i più bassi d'Europa, e la cosa non andrà certo a cambiare nel 2009. Anche in questo, però, potremmo essere avvantaggiati da un certo punto di vista. Innanzitutto dovremmo far valere il discorso stipendio basso = competititività di mercato. In secondo luogo, in un mercato mondiale dove ormai il progresso dell'economia si gioca in oriente, sarà forse più probabile un abbassamento degli stipendi degli altri stati europei, rispetto ad una corsa al rialzo da parte di quelli italiani. In tal senso, se riuscissimo almeno a mantenere gli stipendi allo stesso livello, anche nel caso di un aggravarsi della crisi, potremmo migliorare la nostra competitività.

4- Elasticità degli investimenti in base alle opportunità regionali. Pensare europeo, agire locale, questo dovrebbe essere il motto. Ma facendo questo, possiamo ancora permetterci di sfruttare i vantaggi dell'area Schengen. Se è vero che il prodotto ecologico può e dovrebbe essere finanziato dai fondi per la ricerca, è anche vero che non potendo disporre dei fondi nel proprio stato d'origine, è giusto poter considerare di investire in attività ecologiche in altri stati europei che offrono sussidi in tale campo. In tal modo, si otterrà l'effetto di promuovere tutte le politiche ambientali, costringendo i governi che non si adattano al trend ad adottare misure simili. Solo a quel punto gli investimenti potranno tornare in patria.

5- La Paura Globale. Dobbiamo davvero temere l'Oriente? La Cina, il Vietnam, il Sud Est Asiatico, rappresentano un serio pericolo per l'Europa e l'Occidente? Certo, ma solo per un motivo. Non dobbiamo temere le importazioni e la concorrenza, ma dobbiamo essere molto spaventati dall'influenza morale sul nostro mondo lavorativo. Asia significa ancora corruzione, strutturale e non. Corruzione di tutti i tipi, e a tutti i livelli. Da quella politica a quella commerciale, da quella privata a quella statale. Nessun dubbio: corruzione che lavora e produce lavoro, corruzione che costruisce e promuove, non certo la cleptocrazia dell'immobilismo senza speranza dell'Africa. Ma pur sempre corruzione, che si porta dietro una fetente striscia di inquinamento, sporcizia, povertà, sfruttamento, latte contaminato, morte, distruzione. Corruzione della quale gli effetti, per via dei nuovi network distributivi, si propagano istantaneamente su tutto il globo. L'Europa non ne ha bisogno. Noi abbiamo già la nostra corruzione, abbiamo già tutto il nostro inquinamento, reale e metafisico. Le nostre scorie le abbiamo già respirate, e poi per anni le abbiamo esportate in paesi più poveri. Questa è la nostra corruzione, che si muove, anch'essa con al suo seguito mefitiche emanazioni. Nel tempo ci siamo migliorati. Ora, una tragedia come quella del latte alla melamina accadrebbe difficilmente perfino della Sicilia delle mafie. Le organizzazioni ambientaliste tengono sotto stretto controllo i flussi di materiali contaminati, rendendo più difficile (ma purtroppo non ancora impossibile) la vergogna del commercio internazionale dei rifiuti. Nonostante tutto ciò, però, il businessman occidentale pare non aver remore nell'adattarsi ai corrotti sistemi asiatici, e non sto parlando dello scafato uomo d'affari italiano ancien regime, mi riferisco a tutti, perfino ai "nobili" scandinavi, che a casa loro si comportano bene, ma in molti casi non lo fanno all'estero. Qui in Asia seminano mazzette come tutti gli altir. Questo ed altro, per restare nel mercato. Tra tutte, questa è la sfida più ardua, perchè è difficile cambiare il sistema dall'esterno (dopotutto l'Asia è lontana, e ormai i capitali che muovono il business orientale sono saldamente in mani asiatiche), proprio per questo la priorità dev'essere quella di arginare ad ogni costo l'influenza di tali sistemi sulle pratiche europee, e fare in modo che sia l'Europa a portare i suoi sistemi in Asia, e non il contrario. In pratica, l'opposto di ciò che è successo in Italia, dove il Nord avrebbe dovuto industrializzare il Sud, ma ciò non è mai avvenuto. Al contrario, troppo spesso è stato il Nord a trovare più comodo adattarsi al modus operandi mafioso, importato dal Sud.

6- Concetto di "Limite Aziendale". Al momento: fase di Resistenza Aziendale. Sviluppo prospettivo: identificazione dei limiti aziendali in termini di capitale, credito, risorse umane e are a di sviluppo possibile. Terzo stadio: sviluppo della "Resilienza Aziendale" (nell'ambito della fisica, la resilienza si riferisce alla resistenza di un materiale rispetto a forze di rottura esterne. Il concetto è però esportabile ad altri contesti. Da Wikipedia "la capacità di un sistema di adattarsi alle condizioni d'uso e di resistere all'usura in modo da garantire la disponibilità dei servizi erogati. I contesti di riferimento sono quelli relativi alla business continuity e al disaster recovery. Sinonimi di resilienza sono: elasticità, mobilità. È definibile anche come una somma di abilità, capacità di adattamento attivo e flessibilità necessaria per adottare nuovi comportamenti una volta che si è appurato che i precedenti non funzionano. Esiste una contestuale capacità di adattamento passivo, intesa come la possibilità di riuscire ad accettare le situazioni sulle quali non possiamo farci nulla senza continuare a valutarle negativamente, ma imparando da esse o, ancora più semplicemente, dedicandoci ad altro."). Nel clima della globalizzazione per troppo tempo si è parlato di "possibilità di sviluppo senza limiti". Questo concetto si è dimostrato falso e fuorviante. La priorità adesso è l'identificazione dei limiti, e non l'illusoria convinzione della loro assenza.

7- Acquisizioni d'emergenza. Contrariamente alla dubbia moralità delle acquisizioni post-bancarotta o alle acquisizioni aggressive delle multinazionali, l'acquisizione d'emergenza in condizioni di crisi globale è da vedersi come alternativa alla perdita di posti di lavoro. La condizione sine qua non dev'essere per forza la clausola di non chiusura dell'azienda acquisita ed il mantenimento del maggior numero di posti lavoro possibile.

Wednesday, October 21, 2009


PowerItalia (21 maggio 2009)

Forse è difficile capirla, dall'interno, ma vista da fuori l'Italia ha perfettamente senso. Purtroppo. Si notano innumerevoli parallelismi tra storia e altre "democrazie", parallelismi a cui in suolo patrio ormai non si può nemmeno più accennare, perchè fa così "sinistra sempre contro", "espressione della gente che sa solo odiare", o addirittura, per dirla con i recenti profeti della finta innovazione (cambiare tutto per non cambiare nulla), "cattivi maestri". Ma invece è sbagliato smettere di ripetere ciò che è ovvio e sotto gli occhi di tutti. Così ovvio che, appunto, suona quasi stupido a leggersi. L'Italia rischia il fascismo. Rischia di tornare indietro di molti anni, e anche con le ovvie differenze socio-culturali indotte dal progresso, sarebbe (non uso "sarà", per ottimismo) alla fine molto simile al fascismo precedente.
Al contempo, ci sono esempi in giro per il mondo che offrono sconcertanti similitudini. E ciò a cui hanno portato dovrebbe far suonare, in Italia, potenti campanelli d'allarme.

Un esempio: le inaspettate posizioni progressiste, garantiste e libertarie di Fini. Come mai non è mai stato in grado di esternare le sue idee (frutto di una lunga e - si suppone - dolorosa maturazione politica) durante la sua lunga leadership di AN? Semplice: aveva bisogno di voti e doveva sottostare alle rigide regole del partito principale, ovvero il partito di Berlusconi, ovvero il progettato "partito unico italiano".
Ora, protetto dalla carica istituzionale, e sepolta AN nella coltre transpartitica del PdL, Fini può finalmente concedersi (qualche volta) di dire ciò che in realtà pensa da tempo. Ma la realtà è che Fini può farlo solo perchè è temporaneamente fuori gioco. Se un giorno tornasse a sognare la successione al padrone, dovrebbe nuovamente soffocare la voglia di dire la sua, la tentazione di essere sincero.

Il fatto di essere rappresentati da un primo ministro indagato, indirettamente giudicato colpevole, lasciato dalla moglie che lo dichiara malato e vittima di un delirio di onnipotenza (nonchè pedofilo, tra le righe), antipatico al mondo per le sue continue sortite comico-grottesche, e che nonostante tutto questo, grazie al suo enorme conflitto di interessi, riesce a controllare le grandi mandrie di italiani sciocchi, ignoranti ed egoisti ed il loro voto... beh, questo non lascia speranze. Più avanza la caduta del lìder maximo nella spirale di autocelebrazione e di illusione di onnipotenza, più gli italiani votano e ammirano. Berlusconi rappresenta davvero il sogno italiano, è l'incarnazione di ciò che l'italiano medio vuole veramente essere. L'imprenditore vincente, che arriva al top senza farsi troppi problemi etico-morali, e che lo fa col sorrisetto falso di chi può permettersi tutto quello che vuole. Il sorrisetto di chi, braccio appoggiato al finestrino aperto, si lascia ammirare all'interno della sua supercar. Il furbetto del quartierino diventato premierino dell'Italietta.
Riflette meccanismi comportamentali ormai rodati.
Se puoi diventare ricco, ma per farlo devi occasionalmente fare cose, diciamo, illegali, cosa c'è di male? Lo fanno tutti, no?
Io non lo faccio.
Se poi capita di aver a che fare con la mafia, meglio assecondarli un po', no? Che sono pericolosi quelli, e comunque non sono dei nostri, che si arrangino tra di loro. Ah... e i morti, i ricattati, i soldi che arrivano a loro tramite le tue operazioni e che infine si allargano a tutto il resto delle LORO operazioni?
Io non lo farei.
Se ti viene offerto un ministero in cambio di prestazioni sessuali... eh... chi direbbe di no?
Io direi di no.
Ma siamo sicuri che chi vota Berlusconi farebbe tutte queste cose? Perchè giustificarlo sempre? Ve lo dico io: perchè c'è un equivoco.
L'italiano medio si sente, giustamente, in colpa. Ha la coscienza sporca. Ha fatto qualche marachella. Non ha pagato tutte le tasse. Non ha rispettato la coda. Ha bevuto un po' troppo ed ha guidato ubriaco. Ha allungato la mazzetta per accaparrarsi quell'ordine che avrebbe salvato la propria azienda. L'italiano medio non ha mai ammazzato nessuno, nè ha dato soldi a chi sapeva li avrebbe usati per farlo. Non ha mai accettato compromessi troppo sporchi. Ha solo arrotondato le cifre, ha solo fatto quello che gli conveniva, a spese altrui, a patto che le spese altrui non fossero troppo alte. Si sente in colpa per questo, ed è giusto che sia così, perchè ha la coscienza sporca. Avere di fronte qualcuno che ha la coscienza pulita lo mette in imbarazzo, lo fa sentire ancora più sporco. Non gli piace. Ma si guarda intorno e vede che anche gli altri si sentono come lui. Anzi, di certo quella marmaglia la deve aver fatta ancor più grossa. Di certo lui è solo un pesce piccolo, un principiante, ma gli altri...
Lui l'ha data la mazzetta, ma qualcun altro più ricco e potente di lui l'ha accettata. La colpa in fondo è dell'altro.
Alla fine, ok, forse la Carfagna non era proprio la più adatta per quel ministero. Però è bella. Anche l'italiano imprenditore medio ha assunto la segretaria perchè era bella. Anche se l'altra, un po' più bassa e con quel naso un po' grandino parlava inglese perfettamente. Anche perchè era laureata, al contrario di questa. Diciamocelo: brutta non era, ma insomma... neanche bella. Tette piatte, gambe corte e un po' di cellulite. Gran carattere, molto cordiale, ma certo questa qua, alta bionda, tettona, culo perfetto fa fare una certa figura alle riunioni. Ecco, forse la Carfagna è un po' come la segretaria alta. E poi ci sta, proprio come lei.
E' uno schifo, insomma, tutto uno schifo, e in fondo non c'è modo di cambiare le cose. Meglio allora avere qualcuno al comando che sa come girano gli affari. Meglio uno che abbia già le mani sporche, che almeno quando fa le leggi già sa che non verranno rispettate. Meglio uno che comanda, certo, ma non è meglio di te. Anzi, è molto peggio. E' uno schifo, ma in fondo tutto è uno schifo, e allora meglio che chi comanda faccia schifo anche lui, che almeno ci si trova a proprio agio, tra l'immondizia.
Lo sporco si annida negli angoli, ma se non si è pronti a rimuoverlo, si espande. Ad esso si aggiungono i funghi e le muffe. Poi gli insetti. Porta malattie. A un certo punto ti si attacca addosso e non lo rimuovi più, anche perchè ormai ti ci sei abituato. Lo sporco non perdona: puzza e tutti lo notano, anche quando chiudono gli occhi. A patto che siano puliti, perchè quando non lo sono, a occhi chiusi allora non ci si capisce più nulla. Si è tutti sporchi a quel punto, e la puzza si confonde.

Il lerciume della maleducazione ormai sono ovunque. Un uomo volgare e maleducato come Ghedini può permettersi di dire menzogne sbraitando in TV. La prassi dei politici "forzisti" (termine ormai in disuso, ma al quale io sono affezionato) è usare la tecnica della sovrastazione. Parlare sempre, parlare sopra gli altri, coprire tutto con una logorrea incontenibile, rumorosa, becera. Verbalità nefasta ed inutile in tutto e per tutto, tranne che per l'intrinseca capacità di rendere il dialogo impossibile, e di imporsi sul resto, lasciando l'ascoltatore in uno stato di confusione. L'ascoltatore che poi cambierà canale e tornerà alla meno impegnativa partita di calcio. Verbalità cattiva che non porta contenuti, ma serve a cancellare quelli della verbalità altrui.
Mi capitò qualche mese fa di discutere di politica con un giovane - ventunenne - sostenitore di Berlusconi. Persona acculturata, il ragazzo stava svolgendo una piccola parte dei suoi studi presso la migliore università pubblica qua in Thailandia. Nonappena si trovò in disaccordo con le opinioni degli altri due ragazzi italiani suoi coetanei, scattò il metodo forzaitalia. Voce alta, linguaggio aggressivo, e via a coprire inesorabilmente i discorsi e le argomentazioni altrui. La cosa più sconcertante fu notare l'assenza di sorpresa o di sdegno da parte degli altri due. Come se fosse normale, come se fosse accettabile essere neutralizzati dall'approccio ignorante della legge del più forte. Alla fine, quindi, è soprattutto una questione di maleducazione, di de-educazione. Una volta c'erano il manganello e l'olio di ricino, ora c'è il dibattito televisivo, così violento ed onnipresente da ottenere effetti ben più incisivi dei vecchi metodi. Effetti psicologici permanenti, virus dialettici che si autoinstallano nel cervello, attivando processi senza via di ritorno, disattivando facoltà intellettuali un tempo imprescindibili.
Tutto ciò funziona secondo una regola universale che porta ad un risultato finale preciso. E sicuro. Nella legge del più forte, il più forte di tutti vince sempre, comanda e fa le leggi.
Il più forte può permettersi di ritenere i verdetti della magistratura indegni e privi di valore. Il più forte può etichettare come comunisti persone che hanno combattuto per un mondo libero dai regimi autoritari, comunismo incluso. Il più forte può arrogarsi il diritto di delegittimare le funzioni istituzionali del parlamento, organo fondamentale, per antonomasia, della repubblica parlamentare.
Può scherzare e minimizzare sul ruolo del fascismo.
Può portare in parlamento elementi corrotti, censurati, mafiosi, veline, starlette e intrattenitori.
Ma tutto va bene, perchè alla fine, riconosciamolo, l'Italia si merita questo e nient'altro.
Un'Italia che si era convinta che il capitalismo trainante del Nord potesse per omeopatia trasferire democrazia e giustizia al Sud, e che poi decenni dopo si è ritrovata con la mafia al Nord, ormai strutturalmente così inserita da influenzare perfino i comportamenti di chi con la mafia non ha mai avuto nulla a che fare.
Un'Italia che si rifiuta categoricamente di accettare la vita di un'ordinaria democrazia, e dove un governo può tranquillamente cadere per l'unico motivo di aver cercato, incredibilmente, di far pagare le tasse. E dove il primo ministro può arrivare al punto di invitare - trasverasalmente, indirettamente, ma in pubblico - la gente a non pagare le tasse, a non prendere sul serio uno stato che impone una tassazione media del 46%. Un discorso che potrebbe di sicuro avere un senso in uno stato dove la moralità imponesse di pagarle, le tasse, ma di certo non nello stato europeo con la più alta percentuale di evasori di ogni tipo: marginali, parziali e totali. Dove un solo biennio di dura imposizione delle regole fiscali genererebbe un tale gettito da poter permettere alla struttura statale di cominciare subito il tanto atteso evento del taglio delle imposte. Cosa che - si sa, ma quasi mai si ammette - può essere fatta solo quando il debito pubblico non eccede il prodotto interno lordo. Quest'equazione era stata raggiunta dopo soli pochi mesi di giusta politica pro-tasse, ma si è ben presto sgretolata col ritorno dei profeti dell'evasione. Ora è troppo tardi: l'esperimento è fallito e forse non ci saranno mai più occasioni.

Incredibile è vedere però che dove le cose sono andate peggio per molti anni, la situazione si stia sbloccando in maniera così veloce e radicale. Sto parlando, ovviamente, degli Stati Uniti. Dopo anni di decadenza morale, ecco che si materializzano alcune delle speranze riposte in Obama. Devo ammettere di aver nutrito grandi dubbi sulle possibilità che l'uomo realmente aveva di cambiare uno stato che sembrava essersi cristallizzato su posizioni ormai ai limiti del conservativismo reazionario. Pensavo che fosse umanamente impossibile per un uomo (o un'amministrazione) dover raddrizzare così tanti errori in poco tempo. Ora è decisamente presto per facili bilanci prematuri, ma quanto possiamo vedere è eccitante. Penso all'approccio verso l'arroganza dei grossi gruppi industriali, ma anche la mancanza di accondiscendenza verso i sindacati (che negli Stati Uniti sono pochi, ma quelli che ci sono hanno poteri spropositati, e hanno causato, ad esempio, il crollo dell'industria americana dell'acciaio, pretendendo ed ottenendo da Bush anacronistiche barriere protettive), e le inaspettate e giustissime riforme - chiamamole così - morali. La reintroduzione della ricerca sulle cellule staminali e la legalizzazione delle tecnologie ad essa legate, ultimamente addirittura i nuovi regolamenti di Hillary Clinton che obbligano a considerare i partner dei diplomatici omosessuali alla pari di quelli etero. Pare voglia perfino introdurre regole di questo tono all'interno dell'esercito.
Ora, per molti l'atteggiamento dell'amministrazione Obama nei confronti delle (proprie) multinazionali potrebbe suonare sospetto, o magari ipocrita (ma come, tutti sanno che i presidenti americani non hanno speranze di essere eletti, se non con il supporto dei grossi agglomerati e delle lobby), però io mi permetto di avanzare delle teorie un po' diverse anche sulla natura della crisi economica in sè.
Per molti il permissivismo dell'amministrazione Bush in termini di politiche bancarie (sub-prime e "prodotti" vari - come se dei pacchetti bancari potessero essere considerati "prodotti") è una colpa incomprensibile nella propria gravità. Posso essere d'accordo nel definire imperdonabili tali politiche. Ma la colpa non è affatto incomprensibile. Non credo nemmeno si tratti di errori. Si trattava di salvare l'economia americana. O per lo meno di rallentarne il degrado. I prodotti poi rivelatisi "tossici" hanno permesso per anni di far girare un'economia ormai basata sul nulla. Hanno fatto circolare denaro e prodotto capitali ed interessi immaginari, che però hanno per qualche tempo iniettato fiducia in un mercato ormai esausto ma ancora esigente e spendaccione. In tal senso, e solo in quello, va interpretata - e non giustificata - la politica Bush. In tale ottica, inoltre, va anche riclassificato l'intero processo di terrorizzazione della popolazione. Terrorismo e guerre preventive hanno fatto girare l'economia e generato posti di lavoro. Odiosa ed incondivisible, la politica Bush ha potuto fare ciò che Obama non avrebbe nemmeno osato immaginare in un contesto storico simile. Non dimentichiamo che anche Clinton continuò imperterrito a bombardare periodicamente l'Iraq, nel silenzio generale della stampa internazionale. Non è assolutamente mia intenzione giustificare o sottoscrivere tutto questo (George W. Bush Jr. è forse il peggior presidente che l'America abbia mai avuto), ma è bene che, tra tanti buonismi e tautologie, non si dimentichi che sono le regole del mercato a dettare le politiche, e non il contrario. Quantomeno è così nello scenario, ormai quasi mondiale, degli stati capitalisti, inclusi quelli che eroicamente si ostinano a mantenere un apparato di welfare state. Potessimo prendere da loro, ci piace sperare che ci sia ancora qualcosa da salvare. Il realismo ci costringe però ancora una volta ad ammettere che, senza l'ausilio del rinnovato credito creato dai titoli tossici, forse nemmeno i welfare state sarebbero sopravvissuti.

Ma l'Italia, che ha partecipato attivamente a tutte le guerre "preventive" e che si è vantata di essere quasi estranea ai meccanismi che hanno portato alla recessione mondiale, ha subito la crisi in maniera forse ancor più profonda (e duratura, come possiamo giudicare ora) rispetto agli altri paesi ad economia avanzata. Ma agli italiani pare andar bene così.
... e gli unici che si rivoltano contro Berlusconi sono i tifosi del Milan, che, arrabbiati, lo incitano a spendere di più. Questo è il massimo grado di protesta che ci si può aspettare dagli italiani dei nostri giorni. Non importa quanta corruzione, materiale e morale, ci sia nella classe politica e quali perverse logiche dominino il mondo degli affari. Ciò che conta è il calcio, la televisione. Panem et circenses.
In uno stato dove usare il cervello, o anche solo lasciar intendere di averne uno, è considerato un atto pretenzioso, una dimostrazione di appartenenza ad una classe intellettuale sinistrorsa ormai desueta, non conta come si raggiunge un risultato, ma solo quanto grosso esso sia, e quanta ricchezza materiale comporti. In questa ottica, al tifoso del Milan non interessa come Berlusconi possa continuare ad ammassare ricchezze, come le gestisca e come queste siano difficilmente conciliabili col suo ruolo istituzionale, a patto che il suo patrimonio possa (e debba) essere speso per arricchire la rosa di campioni della loro squadra del cuore. Contano le vittorie del Milan, non lo stato sociale, non i diritti dei lavoratori. Il Milan.
Si tratta di un popolo infantile, e ciò fa comodo a chi lo deve governare. Ad un popolo infantile si riserva il trattamento che si dà ai bambini. Ad un bambino interessa poco che lavoro faccia il papi, ma vuole ricevere regali, vuole mangiare, vuole che i suoi capricci vengano ascoltati, accontentati. Più ciò succede, più aumenteranno i capricci. E così abbiamo un Partito dei Pensionati che si schiera con lo stesso centro-destra paladino dei tagli alle pensioni. Come mai? Semplice: un pensionato già ce l'ha, la pensione. Chissenefrega se ai prossimi non arriverà mai, l'importante è che una pensione resti a loro, arricchita, se possibile, da vari benefit e vantaggi, sgravi, amenità varie. Schierandosi in tal modo, compiono un atto di estremo egoismo, ripudiando gli ideali di welfare state per i quali forse alcuni di loro si erano addirittura battuti, ma con una sola cosa in testa: il tornaconto personale. Ora i figli ed i nipoti si arrangino, non è problema loro.