Sunday, October 25, 2009


Tuffati nella Crisi (12 Febbraio 2009)

2009: anno di sofferenze. Tutti parlano della crisi. La crisi è iniziata da tempo, e ora ne soffriamo le prime conseguenze. Partita dagli Stati Uniti ed allungatasi fino all'Europa, ora si diffonde velocemente in tutto il mondo, rallentando sensibilmente anche le economie più vivaci. Dei pericoli, molti e grandi, se ne parla ogni giorno in tutte le pubblicazioni cartacee, nei telegiornali, su internet: si va dalle previsioni più apocalittiche alle teorie del complotto (le quali sostengono che in realtà non ci sia alcuna crisi, e che il tutto sia stato architettato ad uso dei soliti potenti). Noi comuni mortali, purtroppo, dobbiamo accontentarci di ciò che vediamo, e non possiamo fidarci delle previsioni dei grandi economisti, che avevano previsto tutto tranne l'attuale crisi. Meglio allora concentrarsi sulle opportunità offerte dalla nuova situazione. Quali sono? Ci sono cose concrete che possono facilitare la vita di un'azienda in crisi? Come è lecito aspettarsi, non ci sono risposte univoche, nè formule magiche, ma ciò che rimane sempre valido è l'applicazione del caro, vecchio buonsenso.
Allora, vediamo cosa propongono gli esperti.
L'Economist, ad esempio, sostiene che nel 2009 ci sarà una netta, drastica inversione di tendenza nell'organizzazione aziendale dei grossi gruppi. Ciò influenzerà di riflesso anche le strutture più piccole. Lucy Kellaway, nell'edizione speciale "The World in 2009", sostiene che il nuovo anno vedrà l'ascesa incontenibile del responsabile finanziario (CFO, o Chief Finance Office) all'interno delle piramidi aziendali, e la relativa caduta in importanza del CEO, del responsabile del marketing e del responsabile dell'HR (human resources, o risorse umane). Tutto vero: il 2009 non sarà l'anno della creatività e della pubblicità, ma piuttosto quello dei tagli al personale e delle decisioni pragmatiche che puntano al supremo risparmio. Questo, almeno, per quanto riguarda le realtà "pesanti", le aziende che non hanno molta snellezza.
Sempre Economist, e sempre restando nell'ambito della riduzione, Lionel Barber prevede il ritorno del banchiere gentleman e la crescita del "boutique banking" (i piccoli istituti bancari che godono di una buona base di capitale). Altre previsioni: la crescita in importanza del microcredito nel Terzo Mondo, l'aumento dei raccolti di cereali, una rinnovata importanza del cibo ed il conseguente ritrovato bilancio tra cibo prodotto e cibo consumato, con anzi una prevalenza del primo fattore, che genererà probabilmente un ritorno a prezzi di mercato popolari.
Al contempo, le multinazionali del settore chimico, continuano la propria aggressiva strategia di conquista per vendere i loro diserbanti chimici, alcuni di essi proibiti in molti paesi occidentali. Ciò sta già generando distorsioni notevoli: il governo del regno di Thailandia sta cercando di promulgare una legge che vedrebbe riclassificati a rango di "prodotti pericolosi a produzione controllata" 13 vegetali usati dai contadini in sostituzione ai più costosi (ed infinitamente più pericolosi ed inquinanti) prodotti chimici. Tra tali sostanze, la citronella, il ginger, il peperoncino. A riprova che l'era informatica produce anche esiti positivi, i poveri contadini thai si sono già organizzati in manifestazioni pacifiche. La legge, se passerà, lo farà solo dopo le dovute concertazioni.
Vediamo invece cosa si prevede riguardo al mercato dei metalli. Con l'occidente in panne e l'oriente in rallentamento, il settore del trasporto e quello edile non potranno che rimanere ai livelli minimi sui queli si sono appena assestati. Con l'eccezione dell' oro, tutti gli altri metalli vedranno cadere ulteriormente i loro prezzi di mercato. Il Sudafrica continuerà a pagare le conseguenze del disastro energetico accaduto nel 2007. Anche le miniere cilene affrontano un simile problema. Il prezzo del ferro scenderà ulteriormente, fino a toccare i 65 $/dry tonne. Alluminio e rame scenderanno rispettivamente del 25% e del 19%. Non è certo il momento migliore per comprare.
Il consiglio, nella maggior parte dei casi, è di non sperimentare, di lasciare la briglia aziendale nelle mani del padrone, che, in stretta collaborazione con l'ufficio finanziario, deciderà quanto personale tenere e dove andare a tagliare i costi. Non a caso, in Italia, le prime aziende a sospendere le attività sono state quelle legate al design di automobili. La creatività è l'ultima delle priorità in questi tempi difficili.
Viene sconsigliata vivamente l'attività del "thinking outside the box" (pensare al di fuori degli schemi), dando precedenza agli schemi operativi consolidati.
Tutti questi elementi hanno di certo un rigoroso senso logico, e potrebbero essere giustificati con quel concetto da me citato all'inizio: il buonsenso. Ne siamo sicuri? Buonsenso significa necessariamente fidarsi dell'ovvio e ricordare i dogmi del passato? Buonsenso dovrebbe anche significare "impariamo dagli errori del passato". In questo caso, ad esempio dovrebbe portarci a pensare con il nostro cervello, piuttosto che dentro o fuori dagli schemi. Quando ci siamo fidati dei ragionamenti altrui, abbiamo spesso dovuto ricrederci, e questa crisi dovrebbe essere il punto alla fine del lungo paragrafo scritto dai grandi economisti. Nell'era di internet non c'è economista che possa predire l'imprevedibile. Non c'è politico che possa dirigere l'indirigibile, non c'è economia che possa proteggere mercati ormai globalmente esplosi e poi implosi. Buonsenso nel 2009 significa coraggio e pragmatismo. Significa pensare con il proprio cervello e dimenticare del tutto la scatola e gli schemi. In un clima economico dove a cadere in maniera rumorosa sono proprio quelle istituzioni che agli occhi di tutti parevano indistruttibili fino solo a pochi mesi prima, ciò che conta è più che mai la creatività e la fantasia. Inoltre, a maggior ragione, dovrebbero essere proprio le aziende medio-piccole che cercano nuovi metodi di resistenza alle pressioni di quelle grandi. Non è tempo di acquisizioni, è tempo di alleanze. Non è tempo di oligopoli, è tempo di filiere e complementarità. è in questi elementi che va cercata l'ottimizzazione dei mezzi. La nuova globalizzazione non ha come protagoniste le multinazionali, ma le zone di produzione, la chiave è la regionalità. Il risparmio è il minor raggio di trasporto, le risorse sono quelle locali, le risorse umane sono quelle disponibili nella zona. E non è affatto vero che l'Occidente deve diventare un mondo del terziario, in quanto è proprio l'Occidente ad aver più che mai bisogno di quelle industrie che ormai abbiamo quasi completamente esportato ad Oriente. Dobbiamo riportarle a casa, perchè è ipocrita lamentarsi dell'assenza di regole in campo ambientale nella Cina rampante, quando potremmo essere noi a produrre con standard ambientali altissimi. Ed è ancora più inutile constatare che Pechino è molto inquinata, quando l'Italia è tra gli ultimi paesi in termini di innovazione energetica e di ricerca nel campo dell'energia verde. Innovazione Energetica, Energia Verde, Economia Sostenibile: questi dovrebbero essere i termini imperativi in tutti i settori dell'industria e del commercio. Senza questi, non c'è nessun progresso. L'Oriente sta attraversando in pochi anni tutto quello che noi abbiamo esperito in 50 anni di travagliata storia politica, sociale ed economica. E' giusto che l'Europa cerchi di moderarne i toni, ma per farlo deve prima trovare una sua dimensione morale, cosa che in questo momento può essere fatta solo tramite l'implementazione rigida di nuovi sistemi ecologici. Non c'è neppure una vera scelta, non ci sono altre opzioni, si tratta solo di arrivarci prima possibile, di farlo in fretta. Arrivando prima si guadagnerà di più. Ecologia non significa più lotta radicale di pochi attivisti, significa risparmio energetico e guadagni sull'innovazione. Significa dare al mercato ciò di cui il mercato ha bisogno. Significa, più che mai, marketing e pubblicità, in alleanza con il mondo dello spettacolo. L'immagine dell'eco-friendly non può e non deve più essere relegata al mondo dell'attivisimo, ma piuttosto a quello della moda, della musica, dello spettacolo. Le persone che non si adattano alla nuova mentalità devono sentirsi antiquate e, per usare un termine al passo coi tempi, "sfigate". Il prodotto ad impatto ambientale minimo deve essere ambito e ricercato, deve essere legato ad un'immagine di design e di esclusività. Solo in questo modo potrà attirare l'attenzione delle masse, e diventare in seguito un prodotto popolare, il nuovo standard. Se è vero che questa crisi è una cospirazione, voglio sperare (e ci sono motivi per pensare che questo sia possibile) che chi l'ha architettata abbia proprio questo in mente: sovvertire il vecchio ordine delle cose per dare al mondo un taglio più ambientalista. Quale migliore occasione!

I punti:

1- Idealizzazione del prodotto ecologico. E' una questione di immagine, l'immagine è l'unico strumento universale per convincere l'acquirente. La qualità viene soltanto seconda. Esempio: la tentata introduzione di vetture elettriche negli Stati Uniti verso la fine degli anni '90 è stata un fallimento, mentre il motore ibrido Toyota è stato un successo. Perchè? L'auto elettrica americana era brutta e veniva proposta come un prodotto economico per il risparmio. Il motore ibrido, in contrasto, venne introdotto subito su un SUV Lexus, creando il paradosso SUV=ecologia. La lexus ibrida, inoltre, è addirittura più veloce ed aggressiva di quelle con il motore tradizionale. La gente ora guarda al motore ibrido come ad uno status symbol. Non appena tale motore sarà disponibile per modelli più accessibili, le vendite saliranno.

2- Responsabilizzazione delle risorse umane. Negli ultimi decenni si è consolidato uno stile lavorativo tutto imperniato sulla figura del manager vincente. Le multinazionali si sono fuse assieme ed hanno creato un vergognoso mercato dei supermanager, signori pagati con stipendi inimmaginabili che potevano permettersi decisioni assurde, senza timore di dover pagare i propri errori. Questo metodo si è dimostrato sbagliato, e infatti la cosa sta già cambiando. Io mi permetto di andare oltre. Secondo me anche il mondo della ricerca e della creatività devono adattarsi al nuovo clima. In uno stato come l'Italia, dove la ricerca è bistrattata, il ricercatore, lo sviluppatore di prodotti, il designer non solo dovranno cooperare con le aziende, ma dovrano farlo in maniera responsabile, rendendosi partner dell'impresa stessa, quando possibile. Questo succederà soprattutto nelle aziende medio-piccole.

3- Nuove realtà salariali. L'Italia è in grave ritardo. Gli stipendi sono tra i più bassi d'Europa, e la cosa non andrà certo a cambiare nel 2009. Anche in questo, però, potremmo essere avvantaggiati da un certo punto di vista. Innanzitutto dovremmo far valere il discorso stipendio basso = competititività di mercato. In secondo luogo, in un mercato mondiale dove ormai il progresso dell'economia si gioca in oriente, sarà forse più probabile un abbassamento degli stipendi degli altri stati europei, rispetto ad una corsa al rialzo da parte di quelli italiani. In tal senso, se riuscissimo almeno a mantenere gli stipendi allo stesso livello, anche nel caso di un aggravarsi della crisi, potremmo migliorare la nostra competitività.

4- Elasticità degli investimenti in base alle opportunità regionali. Pensare europeo, agire locale, questo dovrebbe essere il motto. Ma facendo questo, possiamo ancora permetterci di sfruttare i vantaggi dell'area Schengen. Se è vero che il prodotto ecologico può e dovrebbe essere finanziato dai fondi per la ricerca, è anche vero che non potendo disporre dei fondi nel proprio stato d'origine, è giusto poter considerare di investire in attività ecologiche in altri stati europei che offrono sussidi in tale campo. In tal modo, si otterrà l'effetto di promuovere tutte le politiche ambientali, costringendo i governi che non si adattano al trend ad adottare misure simili. Solo a quel punto gli investimenti potranno tornare in patria.

5- La Paura Globale. Dobbiamo davvero temere l'Oriente? La Cina, il Vietnam, il Sud Est Asiatico, rappresentano un serio pericolo per l'Europa e l'Occidente? Certo, ma solo per un motivo. Non dobbiamo temere le importazioni e la concorrenza, ma dobbiamo essere molto spaventati dall'influenza morale sul nostro mondo lavorativo. Asia significa ancora corruzione, strutturale e non. Corruzione di tutti i tipi, e a tutti i livelli. Da quella politica a quella commerciale, da quella privata a quella statale. Nessun dubbio: corruzione che lavora e produce lavoro, corruzione che costruisce e promuove, non certo la cleptocrazia dell'immobilismo senza speranza dell'Africa. Ma pur sempre corruzione, che si porta dietro una fetente striscia di inquinamento, sporcizia, povertà, sfruttamento, latte contaminato, morte, distruzione. Corruzione della quale gli effetti, per via dei nuovi network distributivi, si propagano istantaneamente su tutto il globo. L'Europa non ne ha bisogno. Noi abbiamo già la nostra corruzione, abbiamo già tutto il nostro inquinamento, reale e metafisico. Le nostre scorie le abbiamo già respirate, e poi per anni le abbiamo esportate in paesi più poveri. Questa è la nostra corruzione, che si muove, anch'essa con al suo seguito mefitiche emanazioni. Nel tempo ci siamo migliorati. Ora, una tragedia come quella del latte alla melamina accadrebbe difficilmente perfino della Sicilia delle mafie. Le organizzazioni ambientaliste tengono sotto stretto controllo i flussi di materiali contaminati, rendendo più difficile (ma purtroppo non ancora impossibile) la vergogna del commercio internazionale dei rifiuti. Nonostante tutto ciò, però, il businessman occidentale pare non aver remore nell'adattarsi ai corrotti sistemi asiatici, e non sto parlando dello scafato uomo d'affari italiano ancien regime, mi riferisco a tutti, perfino ai "nobili" scandinavi, che a casa loro si comportano bene, ma in molti casi non lo fanno all'estero. Qui in Asia seminano mazzette come tutti gli altir. Questo ed altro, per restare nel mercato. Tra tutte, questa è la sfida più ardua, perchè è difficile cambiare il sistema dall'esterno (dopotutto l'Asia è lontana, e ormai i capitali che muovono il business orientale sono saldamente in mani asiatiche), proprio per questo la priorità dev'essere quella di arginare ad ogni costo l'influenza di tali sistemi sulle pratiche europee, e fare in modo che sia l'Europa a portare i suoi sistemi in Asia, e non il contrario. In pratica, l'opposto di ciò che è successo in Italia, dove il Nord avrebbe dovuto industrializzare il Sud, ma ciò non è mai avvenuto. Al contrario, troppo spesso è stato il Nord a trovare più comodo adattarsi al modus operandi mafioso, importato dal Sud.

6- Concetto di "Limite Aziendale". Al momento: fase di Resistenza Aziendale. Sviluppo prospettivo: identificazione dei limiti aziendali in termini di capitale, credito, risorse umane e are a di sviluppo possibile. Terzo stadio: sviluppo della "Resilienza Aziendale" (nell'ambito della fisica, la resilienza si riferisce alla resistenza di un materiale rispetto a forze di rottura esterne. Il concetto è però esportabile ad altri contesti. Da Wikipedia "la capacità di un sistema di adattarsi alle condizioni d'uso e di resistere all'usura in modo da garantire la disponibilità dei servizi erogati. I contesti di riferimento sono quelli relativi alla business continuity e al disaster recovery. Sinonimi di resilienza sono: elasticità, mobilità. È definibile anche come una somma di abilità, capacità di adattamento attivo e flessibilità necessaria per adottare nuovi comportamenti una volta che si è appurato che i precedenti non funzionano. Esiste una contestuale capacità di adattamento passivo, intesa come la possibilità di riuscire ad accettare le situazioni sulle quali non possiamo farci nulla senza continuare a valutarle negativamente, ma imparando da esse o, ancora più semplicemente, dedicandoci ad altro."). Nel clima della globalizzazione per troppo tempo si è parlato di "possibilità di sviluppo senza limiti". Questo concetto si è dimostrato falso e fuorviante. La priorità adesso è l'identificazione dei limiti, e non l'illusoria convinzione della loro assenza.

7- Acquisizioni d'emergenza. Contrariamente alla dubbia moralità delle acquisizioni post-bancarotta o alle acquisizioni aggressive delle multinazionali, l'acquisizione d'emergenza in condizioni di crisi globale è da vedersi come alternativa alla perdita di posti di lavoro. La condizione sine qua non dev'essere per forza la clausola di non chiusura dell'azienda acquisita ed il mantenimento del maggior numero di posti lavoro possibile.

4 comments:

marietta said...

Ale complimenti! scrivi davvero bene!! manda gli articoli al settimanale internazionale, ti danno una pagina intera, come a Chomsky ! ;-)

Alessandro Borsari said...

Grazie Marietta (sei Maria C?)
Sono commosso: non ho mai detto a nessuno del mio blog e pensavo che nessuno l'avrebbe mai letto :)

marietta said...

sono maristella ;-) ... marietta è l'orrendo soprannome che mi ha affibbiato ale ;-)
ancora complimenti neo-chomsky ;-)
ciao Ale un bacione dal freddonsky

Alessandro Borsari said...

ahhhh !
ma come hai fatto a trovare il blog? io ho provato molte volta a googlarlo ma non ho ottenuto alcun risultato...
Grazie, comunque